Una rappresentazione surreale quella di “Chie-chan e io” di Giorgio Amitrano per la regia, veramente notevole, di Carmelo Rifici.
Tratto dall’omonimo romanzo di Banana Yoshimoto, presente in sala, lo spettacolo si è svelato in tutti i suoi caratteri intimistici più intensi.
Una trama narrativa apparentemente fragile ma di una efficacia travolgente.
Giorgio Amitrano ha saputo trarre dall’anima del romanzo i tratti salienti di un tessuto psicologico di non facile trasposizione al piano reale. Tangibili, invece, i risultati e sinceramente meritevoli in ogni aspetto.
Il monologo interiore di Kaori protagonista ha trovato, nelle voci dei personaggi impiegati, la sua apertura, un mezzo, straordinariamente avanguardista, di esprimersi.
Coadiuvati da una scenografia stupefacente per il suo minimalismo estetico e un dinamismo polifunzionale, le figure si sono prestate a giochi interpretativi nuovi, capaci di svilire gli ultimi, sterili slanci d’un teatro trapassato, assetato di modalità e di ingranaggi espressivi volti al rinnovamento.
Tutto parte da un banale incidente d’auto accaduto alla enigmatica Chie-chan, cugina di Kaori. Da questo avvenimento si dipana una spirale di pensieri, emozioni, passioni, dubbi, paure, desideri, sogni, amori che progressivamente si sprigiona dalla mente bizzarra della protagonista per venire ad edificarsi, con apparente sregolatezza, sul bianco palcoscenico del San Ferdinando.
La fuggevolezza dei momenti, di frangenti appena abbozzati, come si trattasse dello schizzo di un dipinto, e il persistere invece di una interiorità mai trascurata, presente in ogni minuzia, hanno dato respiro, consistenza al movente della spiritualità, non perituro, e incertezza, instabilità alla materia, effimera, labile.
Un lavoro teatrale che varrebbe la pena di vedere altre volte, poiché ricco dal punto di vista estetico, ma anche e soprattutto per i contenuti da cogliere tra le scene che si susseguono, si rincorrono, si fermano in sana riflessione e poi ripartono con una naturalezza ed un compimento proprio del capolavoro che si è poi rivelato essere.
Opera assolutamente degna di presenziare al Festival del teatro Italia.
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